Tanti anni fa nasceva un bambino,
era piccolo paffuto e ricciolino,
la sua Vythiri avrebbe presto abbandonato,
una famiglia italiana l’avrebbe adottato,
tutti lo scambiavano per una bambina,
per i riccioli e la faccia sbarazzina,
il primo bimbo arrivato a Vicenza di colore,
accudito in India, cullato dall’amore delle suore,
imparava ad abituarsi alla nuova vita da bambino,
ma per tutti era ormai diventato un bel cioccolatino,
gli anni passavano ma l’India era stata lasciata sul più bello,
ma tutto ad un tratto dentro di lui si accendeva un fuocherello,
la sua era curiosità era conoscere, esplorare, vedere il suo villaggio,
fu così che contro tutto e tutti decise di intraprendere un lungo viaggio,
i genitori non appoggiarono la sua decisione,
lui contro tutto e tutti scelse la destinazione,
dopo un odissea tra passaporto, biglietto e tanti vaccini,
si trovò in aeroporto circondato da tanti suoi concittadini,
tutti parlavano il loro dialetto strano,
lui rispose, mi spiace parlo solo italiano,
il viaggio fu incredibile ed avventuroso,
a cominciare da un atterraggio burrascoso,
odori e profumi in forte contrasto tra di loro,
bambini appaiati con sguardi di cui mi innamoro,
il villaggio appare davvero lontano,
tanto che mi chiedo: “dove ca22o siamo?”,
ore ed ore di saliscendi e parecchi pendii rocciosi,
un té e la colazione offerti al taxista sono doverosi,
arriviamo davanti ad un cancello,
ora nel racconto viene il bello,
il conducente suona il clacson all’impazzata,
dei pitbull ringhiano davanti alla cancellata,
il custode non capisce le mie intenzioni,
un frastuono sveglia le suore dai lettoni,
nella notte il riflesso degli occhiali della suora,
una figura ingobbita con portamento da gran signora,
é la suora che c’era quando ero piccino,
si vede il suo passo ed il suo corpicino,
da li rivedo il mio splendido villaggio,
andare da solo é un lunghissimo viaggio,
una esperienza unica e meravigliosa,
ha lasciato dentro di me più che qualcosa,
gli occhi pieni di speranza dei bambini,
sorridono del poco che hanno i piccini,
l’odore delle spezie inebriante,
verde, té caffé e tante piante,
i tuc tuc ed i loro colori molto sgargianti,
gli animali che scorrazzano tra gli abitanti,
un viaggio che mi ha fortemente cambiato,
e che ha fatto riemergere il passato,
ricordi e flashback che corrispondevano,
frammenti di un’età che si rincorrevano,
l’anno successivo sono quindi poi ritornato,
non soddisfatto di quello che avevo assaporato,
parlare dell’India mi infiamma molto internamente,
ne parlo con passione a qualsiasi tipo di gente,
un Paese con una grande storia e tradizione,
pieno di belle cose ma di tanta contraddizione,
tutti mi chiamano Diego, ma Manoj é il mio nome veramente,
i nomi indiani hanno un significato il mio é nato dalla mente,
per tanti sembro davvero italiano,
ma io mi sento ancora molto indiano,
conscio di aver lasciato per sempre la mia terra natìa,
e che mi richiama spesso dicendo: “perché sei andato via?”.
Ma che bella!!!